domenica, Dicembre 22, 2024

Transizione ecologica. La cultura del “no” ci toglie energia

Le aziende della pianura lombarda hanno l’urgenza di affrontare la transizione ecologica recependo le direttive europee che sostengono il passaggio a un’economia sostenibile senza perdere terreno sul piano dell’innovazione. In particolare, la qualità dell’aria è uno dei grandi problemi che vanno affrontati subito

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Come dice il professor Antonello Pezzini, esperto di efficienza energetica per il Governo Italiano e membro dell’European Economic and Social Committee,

“La necessità di migliorare l’aria in pianura è prodromico a tutto il resto. Non c’è più tempo da perdere”

Pezzini – che sostiene il progetto di Pianura Network – non ha dubbi sull’impellenza di aumentare il numero delle piante in pianura. Un’operazione che viene agevolata dai fondi del Pnrr. È fondamentale piantumare alberi che assorbano l’anidride carbonica. Ma ciò che non è più procrastinabile è un flusso di investimenti che coinvolga quelle aziende – le cosiddette Hard to Abate – che emettono molta CO2. In realtà – specifica il professor Pezzini – sarebbe un’operazione da avviare con tutte le aziende, non solo con le più inquinanti. Perché bisogna ridurre sia la CO2, per modificare il cambiamento climatico, sia gli NOX (gli ossidi di azoto) che pure loro incidono molto nel deterioramento della qualità dell’aria. E aggiungerei, tra le sostanze da abbattere, anche le emissioni di metano che in pianura vengono prodotte dalle grandi fattorie con allevamenti intensivi.

Aziende energivore in pianura

L’area di intervento di Pianura Network è strategica rispetto agli obiettivi di Agenda 2030 (sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite – tra cui l’Italia –, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU). La riduzione delle emissioni dirette (obiettivo: zero nel 2050) può essere raggiunta attraverso un piano coordinato che preveda diverse azioni come la cattura della CO2, l’efficienza energetica, l’economia circolare, l’utilizzo di idrogeno, biometano ed elettrico. “Dalla pianura fino all’imbocco delle valli – spiega il professor Pezzini – abbiamo moltissime aziende energivore. Quindi dobbiamo entrare in quelli che sono i grandi sviluppi che l’Europa sta sostenendo per queste aziende.

Sono previsti imponenti finanziamenti europei e possiamo dare tutte le indicazioni necessarie per accedervi. In questo ambito, la rete di Pianura Network e workshop che organizzerà possono essere di grande aiuto alle aziende. Iniziative di rete e di aggregazione come Pianura Network sono molto importanti per agevolare questo percorso”.

Cattura e stoccaggio del carbonio

Il professor Antonello Pezzini suggerisce un primo argomento sul quale confrontarsi per migliorare la qualità dell’ambiente della pianura, ossia il CCS (Carbon Capture and Storage: cattura e stoccaggio del carbonio). “Finché si continuano a utilizzare combustibili
fossili, bisogna aiutare le aziende nella cultura della cattura del carbonio attraverso i fumi. Ci sono gli investimenti europei per farlo”. Attraverso il programma Eepr – European Energy Program for Recovery – l’Unione Europea sostiene la realizzazione di progetti Ccs pilota, come quello avviato in Italia dall’Enel a Brindisi. “Ovviamente – sottolinea Pezzini – lo stoccaggio del carbonio avviene in siti opportuni, dove parte di questo carbonio lo si può trasformare in combustibile ipersintetico, che può essere utile, perché a bassa emissione di CO2”.

Per fare tutto questo, abbiamo già la direttiva europea, la 2009/31. Quindi già dal 2009 l’Europa cominciava a dire che bisognava intervenire nella cattura della CO2 delle aziende energivore, che sono 780 in Italia e 12.500 in Europa. Molte di queste aziende energivore, che determinano il 30% delle emissioni di CO2 nell’atmosfera italiana, si trovano nella Pianura Padana e all’inizio delle valli, cioè nella nostra Lombardia.

La Regione Lombardia, dopo l’emanazione della direttiva europea, nel 2010 individuò i siti nei quali si sarebbe potuto stoccare l’anidride carbonica, che erano siti esausti, un tempo utilizzati per il CH4, cioè il metano, ora vuoti. C’è quindi una legge regionale. Ma sono lavori che non sono stati più portati avanti, perché sono impegnativi. La 2009/31 è molto chiara, le Regioni devono individuare i siti e le società che entrano in questo campo devono accreditarsi in Regione e fare domanda come si faceva per i siti minerari per poterne ottenere lo sfruttamento, in questo caso invece per poter avere l’autorizzazione a utilizzare i siti e garantire lo stoccaggio della CO2, in modo che successivamente questa CO2 unita a idrogeno sarebbe diventata CH4, cioè metano sintetico. Tutti processi che in Germania stanno già facendo ma che noi non abbiamo avviato.

Ora si è creata una cordata di grandi aziende italiane, proprio pochi mesi fa, anche con l’appoggio del Ministero dell’Ambiente, che sta iniziando finalmente a fare questo lavoro.

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La via dell’idrogeno

L’avvio di questi processi è legato anche a un fattore culturale. Si sente spesso parlare di transizione ecologica, ma ancora non si ha la percezione di cosa significhi nel concreto. Spesso è al centro di dibattiti molto tecnici ma ora è necessario passare dalle parole ai fatti. Quanto più viene diffusa la possibilità del cambiamento e tanto più diverrà un movimento ampio e condiviso.

Eppure, nonostante il cambiamento climatico sia sotto gli occhi di tutti, ancora si fatica a investire nella difesa dell’ambiente. “C’è ancora gente che mi chiede se sarà possibile usare l’idrogeno – sottolinea il professor Pezzini tra lo stupito e l’amareggiato. Ma in Svezia ci sono già da anni condomini che hanno impianti di fuel select funzionanti a idrogeno. Pure in Italia stiamo iniziando a installare distributori di idrogeno: Venezia ne ha realizzato uno da poco tempo, ma Bolzano ad esempio ce l’ha dal 2015 e ha 5 autobus a idrogeno che funzionano e vanno bene. Cioè capite? C’è ancora gente che crede che le cose non siano realizzabili nell’immediato mentre sono già state fatte da chi è più sveglio e all’avanguardia”.

L’eolico e il fenomeno Nimby

In Italia ci sono imprenditori che hanno già recepito l’urgenza di cambiare.
Gli esempi d’eccellenza sono diversi e molti di questi si trovano proprio nella pianura lombarda. Ma l’azione positiva di pochi non è sufficiente a innescare un cambiamento più globale. Serve un’azione combinata di cultura che venga sostenuta dai governi e che possa permeare l’opinione pubblica. Se pensiamo al passato, il movimento culturale è sempre stato di sostegno al cambiamento. “All’inizio del secolo scorso – ricorda infatti il professor Pezzini – Marinetti dovette inventare il Futurismo, corrente letteraria per far capire alla gente che non doveva opporsi alle vaporiere, alle macchine, alle ferrovie. La gente non le voleva perché deturpavano il paesaggio, come adesso dice per una pala eolica. Ma se andiamo in giro e vediamo dei tralicci ad alta tensione – ce ne sono un mucchio bruttissimi – nessuno dice niente perché ormai sono entrati nel vissuto collettivo.

Ecco, noi oggi abbiamo bisogno di accelerare una visione innovativa dei cambiamenti tecnologici in Italia, perché abbiamo troppi argomenti condizionanti, come il famoso Nimby (not in my backyard): fai tutto quello che vuoi ma non nel mio cortile. Ci sono una serie di fatti culturali che in Italia vanno rimossi, altrimenti resteremo una nazione che non primeggia in Europa. Europa dove gli esempi di accelerazione sul fronte degli impianti tecnologici per le fonti alternative si moltiplicano, mentre in Italia siamo fermi alla difesa del panorama paesaggistico. Per carità, importante anche quello, ma non può diventare la scusa automatica per non procedere su strade innovative”. In questo ambito, le associazioni di categoria potrebbero spingere di più. Lo ammette anche il professor Pezzini: “Io sono a Bruxelles da 22 anni e rappresento Confindustria, quindi parlo dall’interno. Però anche nelle organizzazioni di categoria ci si preoccupa spesso più di altri problemi, dell’Iva, dell’esportazione, ecc., e non si entra invece nel tema dell’innovazione tecnologica che prospetta soluzioni già utilizzate in altri Paesi europei”.

Oggi, ad esempio, si sta discutendo molto dell’eolico offshore, cioè impianti sul mare, dove c’è una direttiva europea che ne disciplina l’installazione. In Germania, nel Mar di Barents, stanno mettendo delle strutture di eolico che raggiungono i gigawatt di potenza con molta semplicità. Da noi si discute ancora se si deve mettere o no una pala eolica, non solo a terra ma anche nel mare a 15-20 km dalla costa. Finora in Italia sono state presentati 39 richieste di installazione di impianti a pale eoliche offshore nel Mediterraneo per una potenza totale di 17 mila megawatt da connettere alla rete di alta tensione. Giacciono, perché tanti ancora sulla carta, tranne un impianto in fase di realizzazione di fronte a Taranto e il recente sblocco da parte del Governo di undici impianti da costruire. L’Italia è il Paese dei comitati del no. E così procediamo al rallenty, dipendendo dagli altri Paesi. Tutto questo mentre nei mari europei ci sono già pale eoliche che producono energia per 12 mila megawatt. E l’obiettivo è di 60 mila per il 2030 e 300 mila per il 2050.

La soluzione dell’agro voltaico

Accanto all’eolico, in chiave emergenza energetica, c’è anche tutto il fronte del fotovoltaico che in Italia ha visto un approccio a singhiozzo, prima sostenuto dallo Stato e poi pian piano gli incentivi ridotti al lumicino o addirittura eliminati. Alla fine della scorsa legislatura qualche passo in avanti è stato fatto sul fronte della semplificazione per agevolare l’utilizzo del fotovoltaico, ma starà ora al nuovo governo e al Parlamento neoeletto far ripartire questo processo.

Sul fronte europeo, proprio quest’estate, la Presidente Ursula von der Leyen ha annunciato l’intenzione di portare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili dagli attuali 22% fino al 40-45% entro il 2030. Ciò significa un investimento enorme che porterà, secondo quanto dichiarato, all’obbligatorietà dei pannelli fotovoltaici su tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali oltre una certa metratura entro il 2026 e su tutti dal 2027, mentre dal 2030 in avanti l’operazione andrà fatta su tutti i nuovi edifici residenziali. Queste decisioni europee vanno nella direzione giusta – commenta Antonello Pezzini.

“L’importante è che si faccia chiarezza sui terreni agricoli. I pannelli non vanno posizionati a terra come è stato fatto finora in diverse aree italiane in sostituzione delle coltivazioni. È invece fattibile a un’altezza tra i 4 e i 5 metri con il solare a inseguimento sopra determinate coltivazioni. Anche da noi ce ne sono. Io ho inaugurato un impianto già dieci anni fa nella zona di Verona, sopra i filari di vite. È il cosiddetto agro voltaico, che consente lo sviluppo delle energie rinnovabili sfruttando i terreni agricoli per produrre energia solare senza compromettere le coltivazioni”.

Anche in questo caso, come per l’eolico, mentre in alcuni Paesi europei come Francia e Germania è già una pratica avviata e molto estesa, da noi in Italia è ancora poco diffuso. E la pianura lombarda potrebbe essere un’area d’investimento e di sviluppo in questo settore di natura ibrida tra l’agricolo e l’energetico.

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L’urgenza dei rigassificatori

Fin qui le prospettive e l’urgenza di trovare vie alternative ai combustibili fossili, ma c’è un oggi emergenziale da affrontare con i costi dell’energia salita alle stelle e il quadro sociopolitico internazionale che mette in difficoltà l’Italia sull’approvvigionamento di gas. “Questo primo anno in cui tentiamo di non dipendere dalla Russia – spiega il professor Pezzini – sarà il più difficile. Per staccare la spina dall’Est, torna d’attualità il tema dei rigassificatori, cioè il Gnl, (gas naturale liquefatto). La direttiva europea sul Gnl è la 2014/94, ma noi in Italia non l’abbiamo ancora applicata. Dovevamo fare i rigassificatori prima, ora siamo con l’acqua alla gola. Ci vogliono tre o quattro anni prima che sia funzionante. Purtroppo, in Italia c’è la politica del Today e non del Tomorrow. O noi cambiamo la cultura italiana, o andremo sempre in difficoltà rispetto agli altri Paesi europei.

Fortunatamente, grazie soprattutto alla forte presa di posizione di Mario Draghi poco prima della fine del suo mandato da Presidente del Consiglio, l’Unione Europea si è mossa in modo quasi unitario sul fronte del prezzo del gas. Il piano e il futuro regolamento per ridurre la domanda di gas, insieme alle misure di emergenza per intervenire sui mercati dell’energia, stanno producendo risultati concreti, anche in termine di prezzo. Concludendo, possiamo dire che è tempo di una svolta perché anche l’Italia si metta a lavorare per recepire in tempi brevi le direttive europee, in particolare quelle sul tema energetico e della transizione ecologica. È senz’altro un fatto di cultura, serviranno anni per cambiarla”.

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