EUROPA E MERCATO DELL’AUTO
In questa intervista, Simonpaolo Buongiardino, autorevole rappresentante istituzionale del settore automotive, analizza l’impatto del Green Deal europeo sull’industria automobilistica e le sue conseguenze sui mercati continentali. Secondo Buongiardino, l’approccio ideologico e scollegato dalla realtà ha portato a una crisi profonda, con le grandi case automobilistiche europee costrette a cambiare drasticamente strategia, mentre l’industria cinese prende il sopravvento. La scelta di vietare i motori endotermici entro il 2035 si rivela un boomerang per l’economia del vecchio continente, lasciando l’Europa esposta a un’evoluzione del mercato che favorisce soprattutto i concorrenti asiatici
Chi è
Simonpaolo Buongiardino, milanese, si laurea in Economia e Commercio alla Bocconi. Inizia la propria attività lavorativa nell’azienda di famiglia, concessionaria auto. Negli anni successivi assume la presidenza dell’Associazione Intermarca dei Concessionari Auto in seno a Confcommercio Milano, nel 1995 viene nominato Vicepresidente. In seno a Confcommercio Milano ha ricoperto nel tempo diversi incarichi e deleghe in tema di amministrazione, comunicazione e relazioni istituzionali. Vice Presidente Vicario di Confcommercio Mobilità. Il Dott. Buongiardino è anche Presidente di Assomobilità, Associazione di Concessionari Auto Moto e attività del comparto Motorizzazione, che si propone di rappresentare e difendere gli interessi economici, sociali e professionali dei propri associati.
Ormai la bolla dell’utopia Green sembra essere esplosa. I mercati sono quasi al collasso e a farne le spese sono le grandi case costruttrici in forte crisi, costrette a cambiare strategie se non addirittura attuare tagli e chiudere stabilimenti. Qual è la situazione Europea, ad oggi?
Purtroppo in Europa si è creato un vento che si chiama green deal che ha sconvolto
assolutamente il panorama automobilistico dell’Europa stessa. Stiamo parlando di ciò che
avviene dal 2019 quando si insedia la Commissione europea con una presenza forte dei
Verdi della sinistra assecondata dalla Von der Leyen e che aveva visto nel commissario Frans Timmermans il paladino della transizione verso l’elettrico in campo automobilistico.
Questa deriva verso questo concetto che di per sé è sano, cioè evitare l’impronta carbonica che è causa di eccessi di CO2 nell’ambiente, è stato però affrontato in termini assolutamente ideologici e di fatto sganciati dalla realtà.
La scelta dell’Europa di vietare i motori endotermici dal 2035 si sarebbe dovuta valutare con qualche studio sicuramente più approfondito
Nella fattispecie, quali sono i limiti dell’Europa in questo senso?
Cominciamo a dire che nel mondo l’unico continente che è stato oggetto di queste politiche è l’Europa. Europa che a livello mondiale è il continente più virtuoso da questo punto di vista e che già a livello di emissioni di CO2 registra le più basse percentuali in confronto a paesi fortemente industrializzati come gli Stati Uniti o emergenti come la Cina, la Russia e l’India. Paesi, questi ultimi, che non si curano di nulla, o quantomeno adottano politiche meno rigide in termini di controlli, e quindi vanno per la propria strada. Quindi siamo andati a intervenire su un sistema che già di per sé aveva caratteristiche positive, perché stavamo andando verso una graduale, progressiva e costante diminuzione sia dei fattori climalteranti (con riduzione di CO2 in primis, ndr), sia per i vari fattori inquinanti relativi agli scarichi delle vetture, regolamentati negli anni dai codici delle diverse categorie di appartenenza. Le auto che circolano in Europa sono di fatto sempre più performanti e sempre meno inquinanti e questo aveva determinato già un miglioramento generale dell’aria.
25 anni non sono poi molti, per attuare una transizione globale
Questo miglioramento nelle emissioni, secondo lei, era già percepibile?
Beh, chi ha qualche anno come me, si potrà ricordare bene qual era la situazione a Milano, per esempio, e che cosa si poteva osservare aprendo la finestra di casa: una patina di smog che quasi impediva la vista a medio-lungo raggio. Oggi, per fortuna, non è più così. Quindi questo era un processo naturale di consapevolezza politica e sociale e di evoluzione sul quale si è voluti intervenire adottando una linea rigida (ma ancora non sostenibile) probabilmente imposta dai Verdi che avevano determinato il voto favorevole per la Von der Leyen. L’interpretazione del Consiglio Europeo ha portato alla sciagurata decisione di vietare la produzione di vetture con motore endotermico a partire dal 2035, una scelta che si sarebbe dovuta valutare con qualche studio sicuramente più approfondito. Venticinque anni, per transizioni globali, non sono poi molti.
Quindi più una mossa politica che altro. E quali sono stati, secondo lei, i meccanismi che si sono inceppati e che ci hanno portato alla crisi dei mercati odierna?
Visto lo sviluppo tecnologico così veloce che coinvolge una o due ere geologiche come punto di riferimento, risultava assolutamente poco conveniente porre dei vincoli così rigidi e senza prima aver considerato tutta una serie di aspetti. Il risultato è stato che i Paesi più ricchi d’Europa come quelli del nord in generale, hanno accolto con entusiasmo questa linea, mentre i Paesi del sud Europa che sono quelli che hanno un reddito medio nettamente inferiore di quelli del nord, hanno fatto fatica a ragionare “elettrico”. Basti pensare al fatto che le auto elettriche sono più costose di almeno del 30% e soprattutto hanno una serie di inconvenienti annessi in termini di produzione, ricarica e smaltimento dei componenti. È facile per la Norvegia adottare la linea dell’auto elettrica essendo uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio pertanto con i proventi del petrolio era ed è in grado di finanziare e di sostenere i propri cittadini che, peraltro, risultano essere di numero inferiore rispetto alle popolazioni europee del Sud e di conseguenza rappresentano anche numeri ben più ridotti nella richiesta dello specifico segmento di mercato.
Parlando invece di incentivi, pensa che si sarebbe potuto e dovuto fare di più?
Si parla di incentivi lavandosi un po’ la coscienza perché oggi estrarre petrolio non è certamente da annoverare tra i pregi di una nazione e da questo punto di vista sembra che si siano fatti passi indietro. In certe circostanze le case automobilistiche europee non hanno fatto nulla per cercare di ostacolare, o almeno valutare più a fondo, questa decisione.
Una decisione che li avrebbe portati fuori mercato, che li avrebbe portati a disperdere una tecnologia di cui siamo (Italia compresa) i maggiori detentori, aprendo così le porte ad un canale che è quello delle auto elettriche, canale in cui si sono insediati e specializzati i cinesi, i quali non erano in grado di sostenere una tecnologia più complessa che è quella dei motori endotermici e quindi hanno così aperto alla nuova tecnologia e ai nuovi combustibili. Così i produttori europei hanno progressivamente calato la propria produzione e i cinesi l’hanno invece aumentata imponendosi nel mercato.
Quindi sta dicendo che una grossa fetta di responsabilità è da attribuire proprio alle case automobilistiche?
Esattamente. Secondo me hanno grosse responsabilità perché se avessero cominciato a porsi e dialogare in termini problematici rispetto a questa idea, con la forza della capacità economica che esprimono, forse avrebbero potuto mitigare la situazione. Se non l’hanno fatto è solo perché intravedevano la possibilità di grandi finanziamenti destinati a sostituire le grandi linee di produzione dall’endotermico all’elettrico. Ed è qui il fulcro del problema, perché i grandi costruttori non hanno fatto i conti con il mercato perché poi alla fine tu puoi anche produrre 50 milioni di automobili ma se non le vendi rimangono nei piazzali e questa realtà purtroppo la stanno misurando oggi sulla propria pelle, vedi crisi Volkswagen.
In definitiva possiamo asserire che è stata una scelta politica troppo forzata che alla fine non ha pagato. Perché?
Perché le immatricolazioni dell’elettrico, da un anno a questa parte, diminuiscono sensibilmente mentre si sono affacciati pesantemente sul mercato i colossi cinesi. Qual è il problema che rende tutto un paradosso? Mentre l’Europa va avanti con manovre politiche, propaganda e slogan, i governi degli Stati membri in un certo senso ostacolano le grandi e le medie imprese del settore attraverso una burocrazia e una gabbia fiscale troppo asfissiante, nell’emisfero opposto abbiamo invece governi che attraverso le partecipate sostengono la crescita economica in tutto il processo, sia quello della produzione che quello riferito al piazzamento nei mercati globali. Direi un particolare non da poco.