AUTOMOTIVE TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
L’automotive sta vivendo una nuova rivoluzione, spinto dalla transizione digitale ed ecologica, oltre che da crisi globali come la pandemia e la guerra. La Cina, ora primo esportatore mondiale di auto elettriche, sfida l’industria europea, che risponde con dazi e nuove politiche. Tuttavia, giganti come BYD stanno già aprendo fabbriche in Europa, mettendo in crisi il modello tradizionale. Il futuro del settore potrebbe dipendere da nuove alleanze e strategie globali
Un’accelerazione senza precedenti, l’automotive è un settore stretto tra la necessità della transizione digitale ed ecologica e il consumatore, ancora impreparato al cambiamento in atto
Un secolo e mezzo. Tanto è passato dalla nascita del primo, elementare, veicolo a motore a scoppio. Un lasso temporale apparentemente interminabile, seguito da eventi epocali che, al suo pari, hanno cambiato il mondo, per lo meno quello in cui viviamo.
Quella della motorizzazione è una storia unica, che ha mutato il volto delle città e al tempo stesso le interazioni, favorendo con sempre maggior facilità lo spostamento dell’essere umano e delle merci attraverso paesi e continenti, modificando le abitudini quanto la stessa percezione spazio-temporale della mobilità.
Come molti altri, il settore automotive, oggi più che mai, è interessato da un’accelerazione senza precedenti, seconda solo al primo vagito di quel propulsore dell’Ottocento che diede il via a tutto, stretto tra la necessità della transizione digitale ed ecologica imperante nella società occidentale e quella del consumatore, sempre più disorientato perché, come allora, impreparato al grande cambiamento in atto. Ma a complicare le cose più di quanto fecero quelle rudimentali vetturette, è l’esigenza stessa di fruibilità del mezzo, passato dall’essere un elitario marchingegno per la nobiltà a un irrinunciabile mezzo di trasporto a disposizione di tutti: interattivo, interconnesso, autonomo, ecologico.
Così l’uomo, artefice di tutto ciò, si trova oggi ad essere condizionato dal mezzo stesso da lui creato, stretto fra la necessità di limitarne l’utilizzo per salvaguardare il pianeta su cui vive e l’impossibilità di fermare un processo apparentemente irreversibile e strettamente legato alle sue libertà individuali, ma nel contempo capace di condizionarne il suo comportamento e le sue stesse scelte, in modo significativo, influenzando persino i modelli di business di produttori e distributori.
Nuove opportunità si sono rapidamente
fatte largo, portando la Cina a diventare il primo Paese esportatore e il mercato più grande del mondo
I motivi di questa accelerazione: come cambia il mondo dell’auto
I mutamenti – profondi e globali – seguiti al periodo della pandemia da Covid-19 e la crisi del settore hanno certamente avuto un impatto significativo, soprattutto per quell’indotto di cui il nostro Paese è sempre stato particolarmente florido.
Le carenze di materiali critici e microchip hanno a lungo bloccato la catena di approvvigionamento e il contestuale aumento del costo dell’elettricità causata dai
timori dell’invasione russa all’Ucraina ha poi aggravato la situazione.
Taluni, in questo, hanno ipotizzato una mirabile mossa speculativa. Sarebbe tanto fantasioso ipotizzare un ‘cartello’ che, approfittando della favorevole congiuntura, abbia favorito un nuovo e più florido mercato?
Facile dirlo, più difficile dimostrarlo.
Di fatto, però, nuove opportunità per produttori emergenti si sono rapidamente fatte largo portando alla ribalta nuovi marchi e tecnologie che dall’Asia hanno letteralmente invaso il Vecchio continente, recentemente costretto a correre ai ripari pensando all’adozione di dazi sul prodotto elettrico importato.
“Arginare la superpotenza” diventa così il leitmotiv non solo delle case costruttrici europee, ma di tutta la politica economica comunitaria, da più parti a lungo contestata per le sue scelte forzatamente ‘green’ che, di fatto, hanno reso la Cina il primo Paese esportatore (superando il Giappone), oltre che il mercato più grande del mondo grazie ai suoi venticinque milioni di veicoli circolanti.
I player dovranno essere pronti
a rivedere il proprio approccio
per competere con il concorrente
cinese e difendere le proprie quote
di mercato
Alcuni mesi fa, Dario Duse, EMEA co-leader dell’Automotive & Industrial Team e Country Leader Italia di AlixPartners ha così dichiarato: “I brand cinesi raggiungeranno per la prima volta una quota del 51% nel mercato locale, con esportazioni in forte crescita nei prossimi anni. Controllo della tecnologia, supporti governativi, competitività di costo e modelli di business che rispondono meglio e più velocemente alle richieste del mercato sono la combinazione alla base del loro successo. I player tradizionali dovranno essere pronti a rivedere il proprio approccio per competere sul mercato cinese e difendere le quote nei mercati occidentali”.
Basteranno i soli provvedimenti di tassazione a salvare la filiera automotive europea? O piuttosto sarà un boomerang che darà il via – come sembra stia già avvenendo – a una corsa alla delocalizzazione in Europa anche mediante remunerativi accordi con i costruttori e i governi locali? È la BYD – colosso che ha, tra l’altro, sponsorizzato gli europei di calcio in Germania – ad aver aperto la strada creando una prima fabbrica in Bulgaria (che sarà efficiente dal 2026) e la notizia trapelata di una seconda realizzazione in Turchia per sfruttare gli accordi preesistenti tra Ankara e la UE che prevedono l’annullamento delle tasse sulle importazioni delle auto elettriche. In fondo, quella nata come una semplice indiscrezione dell’agenzia di stampa americana Bloomberg, parrebbe una strada percorribile dal costruttore di Shenzhen che prossimamente potrebbe ufficializzare la notizia. A questo punto la domanda da porsi è una sola: sarà l’unica?