martedì, Aprile 29, 2025

AI e smart working: tecnologie utili o nuove catene digitali?

Quando l’intelligenza artificiale migliora il lavoro da remoto e quando, invece, rischia di soffocare la libertà e la motivazione. Vantaggi, rischi e scelte strategiche per le imprese.

Quando si parla di smart working, la prima immagine che spesso viene in mente è quella della libertà: il lavoro da casa, la flessibilità degli orari, l’equilibrio tra vita personale e professionale. Ma cosa succede quando, dietro allo schermo, a “osservare” non è il capo in carne e ossa, bensì un software di intelligenza artificiale? E quando l’agenda della giornata viene organizzata da un algoritmo che suggerisce priorità, monitora tempi, analizza prestazioni?

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Nel nuovo scenario del lavoro ibrido, l’AI è diventata protagonista silenziosa. Gestisce calendari, sintetizza riunioni, misura la produttività. Può facilitare il lavoro, alleggerire il carico delle attività più ripetitive. Ma può anche trasformarsi, se mal utilizzata, in uno strumento di sorveglianza digitale che soffoca autonomia e fiducia. Il punto non è più solo “smart working sì o no”, ma quale smart working vogliamo costruire. E soprattutto: che ruolo giocheranno le tecnologie di intelligenza artificiale in questo nuovo patto tra aziende e lavoratori?

Come ha dichiarato Satya Nadella, CEO di Microsoft: “L’intelligenza artificiale deve essere un copilota per l’essere umano, non un pilota automatico che decide al posto nostro”. Ed è proprio tra queste due visioni — supporto o controllo — che si gioca oggi la sfida più delicata del lavoro agile.

Strumenti AI per il lavoro agile: dove aiutano davvero

Nel panorama digitale esistono numerose soluzioni AI pensate per il lavoro agile, tra cui:

  • Software di gestione delle attività che suggeriscono priorità e deadline basandosi sull’analisi dei flussi di lavoro (es. Asana AI, Microsoft 365 Copilot).
  • Assistenti virtuali per le riunioni, in grado di redigere automaticamente verbali, sintetizzare decisioni e proporre follow-up (es. Otter.ai, Zoom AI Companion).
  • Tool di analytics per la produttività, che monitorano il tempo speso su task e applicazioni (es. Time Doctor, Hubstaff, Microsoft Viva Insights).
  • AI per il supporto al customer service, con chatbot intelligenti capaci di gestire richieste semplici o ripetitive, liberando tempo per le attività a maggior valore aggiunto.

Queste soluzioni, se utilizzate con trasparenza e chiarezza, possono effettivamente migliorare l’organizzazione del lavoro, ridurre il sovraccarico informativo e aiutare le persone a concentrarsi sulle attività più strategiche. Un esempio virtuoso è quello di Salesforce, che ha integrato nel proprio CRM l’AI generativa Einstein GPT per automatizzare reportistica e suggerimenti operativi, senza però spingere sul controllo dei tempi di lavoro dei singoli. L’azienda ha scelto di puntare sulla responsabilizzazione dei team e sulla chiarezza degli obiettivi, piuttosto che sul monitoraggio continuo.

Il rischio del micromanagement digitale

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Accanto agli esempi positivi, però, crescono i casi in cui l’AI viene utilizzata per esercitare una forma di controllo troppo invasiva sui lavoratori da remoto. Il tracciamento delle attività su computer, la registrazione delle pause, il monitoraggio delle presenze virtuali stanno diventando pratiche diffuse in alcuni contesti, spesso senza un confronto reale con i collaboratori. Ma la tecnologia, se imposta come sorveglianza, genera l’effetto opposto: secondo una recente indagine di Gartner, oltre il 50% dei dipendenti che percepiscono un controllo eccessivo da parte dell’azienda sviluppano disaffezione e calo della motivazione. E questo vale soprattutto per i più giovani: per la Generazione Z, la fiducia, la flessibilità e la libertà di gestione del tempo sono tra i primi fattori di scelta di un’azienda. Lo ha sottolineato anche Giorgio Tinacci, founder di Casavo, in un’intervista a Wired:“Nel lavoro da remoto il vero tema non è il controllo, ma la chiarezza sugli obiettivi e la condivisione dei risultati. La tecnologia deve aiutare le persone a esprimere il massimo del loro potenziale, non ingabbiarle in un sistema di sorveglianza”.

Chi torna indietro limitando o abbandonando lo smart working

Di fronte alle difficoltà nel gestire il lavoro agile, alcune aziende hanno deciso di fare marcia indietro. È il caso di Tesla, dove Elon Musk ha imposto il ritorno in ufficio per almeno 40 ore settimanali, affermando che “lavorare da remoto non è accettabile per chi vuole costruire un prodotto di eccellenza”. Una scelta simile è stata presa da Amazon, che ha chiesto ai dipendenti corporate di tornare in sede per almeno tre giorni alla settimana, motivando la decisione con la necessità di preservare la cultura aziendale e la collaborazione spontanea. Queste mosse sono state oggetto di forte dibattito: se da un lato alcune imprese puntano sulla presenza fisica come fattore di coesione, dall’altro i lavoratori (soprattutto nei ruoli digitali) continuano a chiedere flessibilità. In molti casi, l’uso invasivo di strumenti di controllo nel lavoro da remoto è tra le cause che spingono verso il ritorno forzato alla presenza, alimentando una spirale di sfiducia reciproca.

AI e smart working: vantaggi e rischi da considerare

L’adozione dell’intelligenza artificiale nello smart working offre opportunità interessanti, ma presenta anche rischi che le aziende devono attentamente valutare.

Vantaggi

  • Potenziamento della produttività: l’AI automatizza compiti ripetitivi, liberando tempo per le attività strategiche.
  • Flessibilità e autonomia: facilita la gestione personalizzata del lavoro e delle priorità.
  • Riduzione dei costi operativi: meno spese per infrastrutture e gestione manuale dei processi.
  • Supporto alle decisioni: analisi predittiva e sintesi dei dati per migliorare la qualità delle scelte aziendali.

Rischi

  • Eccessivo controllo e sfiducia: il monitoraggio invasivo genera stress, disaffezione e clima di sospetto.
  • Isolamento sociale e perdita di cultura aziendale: il lavoro troppo automatizzato riduce le occasioni di confronto umano.
  • Dipendenza tecnologica: il rischio di affidarsi ciecamente agli strumenti AI, senza spirito critico e capacità di valutazione autonoma.
  • Questioni etiche e legali: gestione poco chiara dei dati raccolti, con potenziali violazioni della privacy.

Per massimizzare i benefici e mitigare i rischi, è fondamentale che le imprese adottino un approccio equilibrato e trasparente, ponendo al centro le persone e la qualità delle relazioni, non solo la performance numerica.

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La strada del “patto tecnologico” tra azienda e persone

La vera sfida per le imprese non è solo scegliere gli strumenti giusti, ma definire un patto condiviso sull’uso delle tecnologie nel lavoro agile. Le soluzioni AI devono essere alleate, non strumenti di sorveglianza. Come ha spiegato Stefano Quintarelli, esperto di digitale e innovazione: “Non si può delegare alle macchine la responsabilità delle scelte umane. L’AI è uno strumento, non una coscienza”.

Questo significa:

  • Definire regole chiare su cosa viene monitorato e perché.
  • Concentrarsi su obiettivi e risultati, non su presenze o tempi.
  • Investire in formazione manageriale per una gestione equilibrata dei team ibridi.

Aziende come Reply e TIM Enterprise, ad esempio, stanno puntando su modelli di smart working in cui l’AI supporta la pianificazione e l’efficienza senza spingersi verso il micromanagement.

Intelligenza reale, prima di tutto

La tecnologia, da sola, non basta a costruire un ambiente di lavoro efficace e sano. A guidare le scelte devono essere le persone, con la loro intelligenza reale: quella che riconosce il valore della motivazione, della responsabilità e del rispetto reciproco. Lo smart working, per funzionare davvero, non ha bisogno di guardiani digitali, ma di un patto di fiducia tra chi guida le aziende e chi ci lavora. L’AI può essere una risorsa preziosa, a condizione che venga utilizzata per liberare tempo e potenziale creativo, non per alimentare il sospetto. Perché, in fondo, nessuna macchina potrà mai sostituire il valore di un ambiente di lavoro basato su fiducia, autonomia e collaborazione.

Federica
Federica Bonassi
Nata nel 2002, sono laureata in Economia e attualmente frequento la facoltà di International management and marketing. Fin da giovane, ho sviluppato un forte interesse per il mondo della comunicazione nell’ambito economico. Il mio obiettivo professionale è continuare a lavorare nel campo della comunicazione perché mi appassiona e anche perché lo ritengo fondamentale per creare connessioni efficaci e valorizzare al meglio ogni progetto. Il mio hobby preferito? Il volley che pratico a livello agonistico. Sono un’alzatrice, mi piace fare squadra. L’alzatrice mantiene la squadra unita, comunica con tutti e crea sintonia, proprio come un facilitatore in un team aziendale che assicura che la comunicazione interna sia fluida e produttiva.
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