GREEN DEAL: OBIETTIVO NET ZERO
Il raggiungimento delle emissioni nette zero è al centro della politica europea, con obiettivi ambiziosi per ridurre l’impatto ambientale dei veicoli entro il 2035. Tuttavia, la strada per la decarbonizzazione non è priva di ostacoli: dall’opposizione dei produttori di auto alla difesa dei biocarburanti da parte dell’Italia, fino alla possibilità di una revisione delle politiche nel 2026. Nel frattempo, l’Europa si trova a fronteggiare la concorrenza dei produttori cinesi, con il rischio di perdere competitività in un mercato globale in rapida evoluzione
Se ne discute da tempo, non solo in Europa. La necessità di raggiungere emissioni nette di carbonio pari a zero – limitando così al di sotto di 1.5° C il riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali – non è solo un auspicio, ma quanto previsto dall’Accordo di Parigi, un trattato giuridicamente vincolante per scongiurare l’invivibilità di alcune aree del pianeta. La riduzione del 45% entro il 2030 e il raggiungi mento dello zero netto entro i successivi vent’anni, consentirebbe così di annullare gli effetti negativi del cambiamento climatico in atto che, precisiamolo, in parte va attribuito al ciclo vitale della terra.
Il Net Zero si riferisce all’equilibrio tra quantità di gas a effetto serra rilasciati nell’atmosfera e la quantità di gas a effetto serra sottratti
Ma a cosa è il Net Zero? Si riferisce all’equilibrio tra quantità di gas a effetto serra (GHG) rilasciati nell’atmosfera e la quantità di gas a effetto serra rimossi e che, per le Nazioni Unite, sono un obiettivo raggiungibile attraverso il riassorbimento delle emissioni rimanenti dall’atmosfera, dagli oceani e dalle foreste. Oltre alla riduzione di queste emanazioni di anidride carbonica (uno dei gas serra), il Net Zero può essere raggiunto anche attraverso la compensazione delle emissioni di carbonio con l’impegno di aziende e singoli individui per neutralizzare gli effetti negativi derivati mediante azioni come la piantumazione di alberi e l’elettrificazione, ovvero con il processo di sostituzione dell’energia generata dall’utilizzo di combustibili fossili che emettono gas serra con elettricità pulita generata da fonti rinnovabili.
Luca De Meo, presidente di Acea: “La messa al bando dei motori endotermici comporta rischi e ricadute negative in termini di occupazione”
L’azione dei governi in materia di clima rispetto agli obiettivi assunti in Francia, finora ha prodotto un impegno significativo, mostrando però maggior torpore proprio nel nostro continente che, sempre secondo gli studi effettuati, dovrebbe investire maggiormente su fonti come l’eolico e il solare. Ma per le auto? In cosa si traduce tutto questo? Con 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astenuti (Italia, Romania e Bulgaria), il Parlamento europeo uscente aveva approvato in via definitiva i nuovi obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni da Co2 di autovetture e veicoli commerciali leggeri di nuova produzione. L’obiettivo prefissato era la riduzione del 100% rispetto al 2021 (dunque lo stop alla vendita di veicoli a motore termico, alimentati a benzina o diesel), con obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 fissati al 55% per le autovetture e al 50% per i furgoni. Era anche stata introdotta una metodologia per valutare e comunicare i dati sulle emissioni durante il ciclo di vita di questi mezzi di trasporto venduti sul mercato UE da applicare entro il 2025, monitorandone gli effetti per l’anno a seguire con particolare riferimento al divario tra i valori limite di emissione e i dati reali sul consumo di carburante ed energia, con sgravi per i produttori impegnati a produrre meno veicoli (come ad esempio i produttori di auto più sportive nella vicina Motor Valley dell’Emilia Romagna). Il rischio di questa politica era stato però sottolineato da più parti, con il presidente di Acea, l’associazione delle imprese europee di produttori di auto, Luca De Meo ad alzar la voce richiamando l’attenzione sui rischi e le ricadute negative in termini di occupazione con la messa al bando dei motori endotermici. Ma se anche il circus della Formula Uno (notoriamente uno sport lontano dalla sostenibilità ambientale) promette una rivoluzione “Net Zero by 2030” da avviare già dal calendario 2026, cosa ci aspetta nel prossimo futuro?
Il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin: “I biocarburanti possono contribuire alla progressiva decarbonizzazione del settore”
È noto come l’Italia, negli anni passati anni, abbia puntato tutto sui biocarburanti, restando di fatto inascoltata. Le recenti elezioni comunitarie e un asse meno compatto sull’argomento potrebbero però rimettere in discussione il provvedimento grazie a quella clausola di revisione secondo cui, proprio nel 2026, la Commissione UE dovrebbe valutare attenta mente i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione del 100% delle emissioni, rivedendo così quelle decisioni in base agli sviluppi tecnologici, anche per ciò che concerne lo sviluppo dell’ibrido. Il Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin – chiamato a motivare l’astensione del nostro Paese a quelle votazioni europee – aveva sottolineato la positività di una scelta che, di fatto, non metteva ancora fuori partita i motori endotermici, precisando però come la scelta della Commissione europea di riconoscere solo gli e-fuels come valida alternativa e non i biocarburanti rappresentasse un’interpretazione troppo restrittiva che non consentiva una piena attuazione del principio di neutralità tecnologica per il quale l’Italia si era sempre battuta sulla base di dati tecnici e scientifici. “Siamo in fatti convinti – aveva aggiunto il Ministro – che anche i biocarburanti possano rientrare nella categoria dei combustibili neutri in termini di bilanciamento complessivo di Co2 e, di conseguenza, contribuire alla progressiva decarbonizzazione del settore. Ci adopereremo pertanto, nell’ambito delle procedure di approvazione degli atti legislativi indicati dalla Commissione, a far considerare anche i biocarburanti tra i combustibili neutri in termini di Co2, auspicando un successivo e proficuo confronto”. Ora, però, con l’incerto assetto post-elettivo di giugno, Ursula von der Leyen si trova alla guida di una nave senza una rotta precisa, sballottata da correnti contrastanti che, proprio per la revisione prevista tra meno di due anni, vorrebbero quell’auspicata revisione per un’apertura tecnologica che non più ideologica, ma capace di dare la possibilità a consumatori e imprese di decidere su cosa investire per la mobilità del futuro. Per troppo tempo, infatti, le scelte di Bruxelles hanno imposto soluzioni rivelatesi un boomerang per l’economia continentale, obbligando le aziende a dimenticare la propria storia centenaria per rincorrere (e favorire) l’ingresso sul mercato locale dell’industria cinese. Ora bisogna correre ai ripari, prima che sia troppo tardi: il timer fissa come ultima data il 2026.