RIVOLUZIONE INDUSTRIALE 2.0
La Fiat di Gianni Agnelli è stata il simbolo del progresso industriale italiano, ma con John Elkann il futuro degli operai italiani prende una nuova direzione. La scommessa sulle nuove tecnologie rappresenta il cambiamento più profondo per Exor, tra il declino della produzione automobilistica e l’ascesa dell’AI
Il McKinsey Global Institute sostiene che metà dei posti di lavoro umani potrebbe essere sostituita dalla macchina entro 20 anni
La dismissione sembra inevitabile. John Elkann non ripudierà mai ciò che resta della Fiat. È una storia di fa miglia. È cuore e memoria. È qualcosa da rievocare, da ricordare, di cui essere fieri. È l’eredità del nonno. È la Topolino amaranto con Mickey Mouse. È la rivoluzione sociale in 500. È il ricordo lontano delle fabbriche. È un museo del Novecento. È un viaggio sentimentale. Yaki sa benissimo che l’immagine degli Agnelli nel mondo ha a che fare con le automobili. Solo che questo è il passato. Il futuro non passa più da lì e si percepisce bene ogni volta che parla. La sua testa va altrove. L’auto non è più la ragione sociale di Exor, la cassaforte di famiglia, la holding finanziaria con sede in Olanda. È uno degli aspetti, non è detto che sia il più importante. Questo è utile per comprendere le strategie di Elkann. Il paragone di solito si fa con la figura affascinante del nonno. È un errore di prospettiva. John ha deragliato dalle linee dell’Avvocato. È prima o dopo. È su un’altra dimensione narrativa, perché vive una stagione più indefinita e precisamente nel bel mezzo di un cambio di paradigma. Tutti i punti di riferimento sono saltati e si cammina al buio, cercando di intuire le forme di un mondo in metamorfosi. L’incertezza è la parola d’ordine. Vince chi intuisce prima degli altri come e dove fare impresa. Gianni Agnelli con tutto il suo fascino non era un pioniere, John Elkann per non cadere deve imparare a esserlo. È per questo che il suo vero punto di riferimento non può essere il nonno, ma il trisavolo che porta lo stesso nome dell’Avvocato. È il senatore Giovanni Agnelli l’archetipo dell’ultimo capofamiglia della dinastia Fiat. Elkann è l’uomo che ha tolto la I e la T all’acronimo dell’azienda. La Fiat non è più italiana e non sta a Torino.
La fine della schiavitù dal lavoro salariato a vantaggio delle macchine è uno scenario auspicabile?
La questione centrale però è un’altra: la F e la A sono obsolete. I soldi veri non si fanno con la fabbrica delle automobili. Il patriarca degli Agnelli, lungimirante e spietato, capì che il tempo delle carrozze stava finendo. Fu lesto a immaginare il futuro delle automobili. Lo fece seguendo le intuizioni gestionali di Ford. Elkann allo stesso modo scommette sull’intelligenza artificiale e sulle nano tecnologie per la medicina. L’Europa che verrà ai suoi occhi è un posto di macchine intelligenti e di vecchi. L’intelligenza artificiale diventa così una promessa di tempo libero. La fine del lavoro come una speranza o una maledizione. Tutto questo grazie all’aiuto del replicante, quello che calcola con una velocità che non sappiamo raggiungere, quello che prevede, suggerisce, ci affianca, con la precisione che riduce gli errori, quello che fatica al posto nostro, senza sentire la fatica. È lui che cambia profondamente la struttura della società. È lui il soggetto che ci rende inutili. È lui che ci regala tempo e toglie lavoro. È il manager e l’impiegato. È l’operaio, il tassista, il camionista, il badante, il cameriere, l’insegnante, il muratore, il revisore dei conti, l’idraulico, l’elettricista, il bancario, il rappresentante e qualsiasi colletto bianco, il tecnico di qualsiasi cosa e sì, anche giornalisti e affini. Ci saranno altri lavori? Forse, ma non copriranno quelli persi. La prima certezza è che il capitalismo globale delle macchine intelligenti non può permettersi la scomparsa del consumatore. I costi di produzione saranno sempre più bassi, ma se non c’è qualcuno che compra, la merce resta invenduta. Non si fanno profitti con le scorte di magazzino. Il consumatore, infatti, acquista se ha un salario o una rendita. Questa rivoluzione, più profonda dell’invenzione del telaio meccanico e della motrice a vapore, è l’ultimo atto di quel percorso iniziato con la rete di internet e con la svolta di Google (database globale) e delle piazze virtuali. Il McKinsey Global Institute sostiene che metà dei posti di lavoro umani potrebbe essere sostituita dalla macchina entro 20 anni. Che fare? C’è chi ritiene inevitabile il ricorso al reddito di cittadinanza universale, per tutti, anche per chi ha un lavoro, per non creare differenze e conflitti. È la soluzione più diretta per salvare le masse salariali e, quindi, il consumatore globale
Tutto questo non è a costo zero.
Il primo è economico: chi paga il reddito universale? Gli Stati probabilmente cercheranno di coinvolgere i grandi gruppi privati che faranno immensi profitti grazie all’intelligenza artificiale. Non è un caso che si stia da qualche tempo ragionando sull’idea di trasferire
buona parte della tassazione dagli umani alle macchine. Sembra uno scenario distopico, ma non rifletterci su sarebbe un errore. Del resto, le risorse per il reddito universale da qualche parte andrebbero trovate. Qui si apre però uno scenario piuttosto inquietante. Qual è la scintilla della democrazia? Su quale principio si chiede al sovrano di rinunciare a una fetta di potere assoluto? L’origine potrebbe essere l’articolo 12 della Magna Charta, ovvero del provvedimento che il re d’Inghilterra Giovanni Plantageneto (il Giovanni Senzaterra di Robin Hood) fu costretto a concedere ai baroni del Regno, il 15 giugno 1215. Sono solo quattro parole: no taxation without representation. È il cardine delle libertà in cui si riconoscono i patrioti della rivoluzione americana. È la rivolta del tè di Boston. Caro sovrano, se pago le tasse ho diritto di dire la mia in parlamento. Il fisco come richiesta di democrazia. Ora, con il reddito universale, avviene il fenomeno opposto. È uno specchio. È il «sovrano» che ti paga e, a quel punto, la rappresentanza diventa una sorta di favore. Se la tua sopravvivenza dipende dalla carità di Stato, che voce ti resta per rivendicare i tuoi diritti? La promessa, lo scambio, diventa allora il tempo libero. È la liberazione dal lavoro. È la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. È il punto finale dell’alienazione. La fine del lavoro salariato ti permette di coltivare i tuoi veri interessi. C’è chi va a pescare, chi legge, chi scrive, chi lavora il legno, chi pensa e chi semplicemente si gode l’ozio quotidiano. Come Marx scrive nei Grundrisse l’individuo si sottrae, finalmente, al «serpente delle sue pene». È appunto la visione del singolo. È la speranza di un essere umano migliore, condizionata dalle speranze di un filosofo ottocentesco che ha segnato i secoli a venire. È strano, però, che l’ozio creativo di Marx scantoni per una volta dalle masse. È l’io che sogna di emanciparsi dalla schiavitù del lavoro. Cosa faranno le masse? Non è detto che siano tanto diverse da quelle urbane del primo secolo avanti Cristo. È la Roma di Cesare e Pompeo. È la Roma della plebe che sopravvive grazie al grano della Repubblica e passa il tempo a bestemmiare questo e quello nella calca del foro. È la Roma di Milone e di Clodio, due fazioni in lotta perenne nelle strade e nei crocicchi, una che tiene per gli optimates,
l’altra per i populares. Una guerra civile tra ultrà. Clodio, fratello della Lesbia di Catullo, fu ucciso a Bovillae sulla via Appia. Milone cade dalle mura nell’agro Turino, colpito da un sasso degli assedianti. La guerra civile invece sembra continuare secolo dopo secolo.